Note al concerto
Il concerto nasce dalla volontà di riappropriarsi di un sentimento universale di serenità e di pace, nello spirito di un nuovo ecumenismo, non tanto inteso tra religioni diverse ma tra uomo e uomo, al di là di ogni fede o convinzione. Ma nel rispetto di questa sede e della più diffusa tradizione religiosa di questa città abbracciamo la musica sacra come veicolo di questo scopo trascendente.
La figura della Vergine nei primi brani, così come riecheggiata nel “manto azzurro” del dipinto di Piero Guccione nel frontespizio del programma, permea i tre brani iniziali, di cui il primo, l’Ave Maria, un’elaborazione di P.Dietsch su un tema popolare di J.Arcadelt, ci anticipa una suggestione decisamente romantica, tanto più che lo stesso Liszt ne aveva apprezzato la melodia in una sua rielaborazione pianistica.
La Vergine degli Angeli, in una versione riadattata per coro misto, è tratta da “La forza del destino” di G.Verdi mentre nell’ambito di un lirismo ancora romantico si pone l’Ave maris stella di E.Grieg, compositore norvegese a tutti noto come autore delle musiche del “Peer Gynt”di Ibsen.
E così il concerto vuol muoversi nell’ambito di un romanticismo tutto europeo concludendo con due brani di F.Schubert e di F.Mendelssohn.
Du bist die Ruh per soprano solo è un lied tratto da una poesia di Fr. Rückert in cui le frequenti allitterazioni appoggiate sulla vocale “u” della lingua tedesca sono le assonanze di un desiderio infinito di pace, di quiete, come solo la forza consolatrice della musica riesce a soddisfare.
Così anche il Kyrie della Messa in SOL che abbiamo voluto interpolare per creare un binomio schubertiano ci comunica una continua tensione verso la serenità con interessanti accenti espressivi nella sezione del Christe dove il soprano solo concerta con il coro in rapida successione dell’invocazione.
Più che mai sul tema del concerto inoltre si incentrano i due splendidi brani di F.Mendelssohn. Nel Klein Lied (piccolo canto), come lo definì lo stesso Mendelssohn, composto a Roma nel 1831, Verleih’uns Frieden l’invocazione alla pace viene ripetuta più volte, prima dalle voci maschili, poi femminili, poi da tutto il coro, quasi una perorazione indiscutibile da parte dell’umanità intera. È una richiesta commovente basata su una melodia semplice a cui è facile aderire interiormente nell’animo; mentre il Salmo 42, Wie der Hirsch schreit rimane una delle più belle interpretazioni del testo del salmo Sicut cervus desiderat ad fontes, nella mottettistica sinfonica tedesca. La delicata tenerezza delle melodie rispecchia il sentimento dell’autore che compone l’opera durante il suo viaggio di nozze e che vi infonde quindi il respiro di una grande calma e serenità, nella fiducia ottimistica di una vita piena di affetti e devozione responsabile non solo verso Dio, ma anche verso la società civile. Dopo che il desiderio accorato di dolcezza e di liberazione dall’ansia esistenziale si è espresso intimamente dalla voce solistica, nei recitativi, nelle arie e nei concertati, in cui il coro fa da sponda rassicurante alle inquietudini del solo, nell’ultima parte, nel poderoso coro polifonico finale, si completa la grande fiducia nell’uomo, sempre assistito dalla benevolenza divina, ma capace anche di esprimere sulla terra la sua parte migliore.
S. Rodeghiero